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Loris Vescovo ha ideato e porta in scena alcune storie senza tempo con parole, poesia, musica, handpainting. Qui sotto si allegano spezzoni dei testi, fotografie, brani musicali di DAGOS e (alla fine della pagina) PIERPAULI.
“DAGOS” racconta la storia di una emigrata-immigrata friulana in Australia: la crisi economica, il salto nel vuoto, la nuova terra, la discriminazione razziale subita sulla propria pelle (bianca) e l’umiliazione -che diventa alla fine consolazione- dell’essere uguali, si, ma comunque diversi. Il nomignolo disprezzante per gli immigrati che diventa un tatuaggio indelebile, che si tramanda dai padri ai figli. Ed infine il dramma del riproporsi nel tempo e nello spazio del malcostume del tatuare il diverso, per la perdita della memoria dell’essere (stati), a nostra volta, tatuati perche’ diversi.
“PIERPAULI” racconta il percorso la vita di Pierpaolo Pasolini, un artista scomodo, poliedrico ed eclettico. La madre e la lingua della terra, la cultura contadina, l’allontanamento, Roma capitale, l’intellettuale controcorrente contro un’Italia ipocrita e corrotta, la denuncia ai politici che “sono talmente occupati a fare i loro interessi che non hanno tempo per governare “, la morte violenta sulla sabbia di un lido di periferia. Inizio e fine di un percorso che rappresenta al tempo stesso la vita di un uomo ed il destino drammatico di un paese.
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DAGOS
A scuola, i bambini Australiani gridavano a mia figlia: Non venire a sederti vicino a noi, sporca italiana!! We hate you, Wilma de Conti, non sederti qui, Dago!. Formavano un gruppo, la spingevano contro il recinto della scuola e la picchiavano. Mia figlia guardava verso l’ufficio del preside, ma lui faceva finta di non sentire e di non vedere. Non fece mai nulla per farli smettere
Dagos è uno spettacolo di Loris Vescovo di parole, musica e handpainting che parla di migrazione. Nasce dal desiderio di raccontare alcuni aspetti poco conosciuti (e forse un po’ “scomodi”) della migrazione italiana -friulana all’estero. Dagos è il termine dispregiativo utilizzato da Australiani ed Americani del Nord per indicare gli italiani. Si potrebbe tradurre in modo efficace con “sporco italiano”.
La migrazione di italiani in Australia cominciò già alla fine del diciannovesimo secolo, ma conobbe il suo boom durante il primo ed il secondo dopoguerra. L’accoglienza degli australiani nei confronti degli italiani immigrati non era particolarmente calorosa, ed i fenomeni di intolleranza erano all’ordine del giorno. Ci vollero decenni prima che l’Australia dichiarasse ufficialmente il suo status di “paese multiculturale”. E, comunque, anche se il clima generale di odio e di tensione rivolto agli stranieri non si osserva più, alcuni isolati episodi di intolleranza nei confronti degli immigrati mediterranei (e quindi anche italiani) si verificano ancora.
La storia principale che si svolge in “Dagos” è tratto da una storia vera. Carolena Comelli è nata a Nimis, sulle colline a Nord di Udine. Durante l’avvento del fascismo, in un momento di difficoltà economiche , il marito Roberto decide di emigrare in Australia. Lei lo seguirà poco tempo dopo. La vita in Australia non si rivela facile, anche e soprattutto perché molti australiani non vedono di buon occhio gli immigrati. I friulani Roberto e Carolena, stabilitisi nel Queensland tropicale nel villaggio di Pukunja (che in lingua aborigena significa “un posto lontano”), vivono una vita avventurosa e drammatica, conoscendo in prima persona il sapore amaro del pregiudizio e della discriminazione razziale.
In Dagos, Carolena Comelli è interpretata da Natalia Molebatsi, poeta, scrittrice e cantante. Considerata una delle esponenti più importanti della nuova poesia africana, partecipa a festival in tutto il mondo e organizza numerosi eventi letterari in Sud Africa. Durante lo spettacolo, Natalia racconta la storia di Carolena e Roberto, e canta alcuni brani tradizionali africani.
Protagonisti della parte musicale, oltre a Natalia, sono Claudia Grimaz, Loris Vescovo, Simone Serafini, Leo Virgili. La performance di pittura è eseguita da Nicola Tuniz.
Ecco alcuni brani chiave dello spettacolo:
Il mio nome è Carolena Redenta Comelli, e sono nata a Nimis, in provincia di Udine, il 4 di Febbraio del 1902.
I miei genitori erano Giovanni Battista de Comelli von Stuckenfeld (viticoltore e proprietario terriero), e Maria, una Maestra. Dopo la prima guerra mondiale, in paese circolavano voci di grandi ricchezze accumulate dagli emigrati in America. La mia famiglia era ricca. E la mia famiglia non era una famiglia di emigranti.
Mio marito si chiamava Roberto de Conti, anche lui era di Nimis, ma era figlio di friulani che erano emigrati per un breve periodo in Romania. Era un bambino che piangeva sempre ma un giorno una zingara lo prese, lo stese sul tavolo e gli ruppe un uovo sulla pancia. Da quel giorno, Roberto, il mio futuro marito, non ebbe più problemi. Egli studiò in Austria per diventare forestale. Io lo conobbi l’8 di settembre del 1923, al ballo per la festa della Madonna di Nimis. Quando mi prese la mano, il mio cuore cominciò a battere forte. Dopo poco tempo, decidemmo di sposarci. Fissammo la data delle nozze: era il 16 di agosto del 1924. Il mio marito Roberto affittò una segheria e comprava legname da tutta Europa.
Arrivó il fascismo, la crisi, e la sua azienda fallì. Era stato un imprenditore forestale, un guardiacaccia. Aveva studiato. Parlava 5 lingue. Ma ora la sua unica possibilità era emigrare. Doveva trovare un lavoro, doveva lasciare il Friuli. Egli mi disse: “Devo trovare i soldi per il biglietto della nave per l’Africa o l’Australia. L’America ha tagliato le immigrazioni”. Io ascoltavo in silenzio le sue parole. Poi gli dissi: “l’Australia è meglio, con tutte quelle bestie feroci in Africa, se vai là magari non ti rivedo più”. Roberto disse: “Andrò in Australia, allora! Ma non posso più stare in questo paese, questo è sicuro. Andrò giù io per primo, poi verrai in Australia anche tu”. Era la primavera del 1927. L’autobus per Udine era in orario. Mio marito doveva andare a Udine alla stazione dei treni, per andare a Genova, per imbarcarsi sul Caprerra, una nave a vapore. Il suo viaggio via mare sarebbe durato più o meno due mesi.
Mio marito Roberto arrivò a Sydney. E una parola nuova arrivò alle sue orecchie: Dago! Dago era un termine offensivo, che indicava gli italiani o altre popolazioni latine. Dopo aver cercato lavoro per un po’, egli trovò un posto di lavapiatti al ristorante Romano’s. Almeno era una possibilità per lavorare. Poco tempo dopo, su un foglio di giornale usato per incartare delle banane, trovò un annuncio di lavoro come forestale, a Innisfail, nel Queensland. Iniziò un lungo viaggio di molti giorni verso Nord. Il suo lavoro era guidare un gruppo di uomini per tagliare la foresta tropicale. Il suo capo lo portò presso la sua casa, una baracca con una piccola terrazza, con un’unica porta ed un’unica stanza. Tra le ragnatele, c’era una branda. Sotto una finestrella, una fila di chiodi arrugginiti. C’erano tre scaffali, e una lampada a cherosene. In questo soffocante rifugio sotto un tetto di lamiera, il caldo era insopportabile. Era il 1929. Il suo nuovo indirizzo: Nerada, Queensland, Australia.
Dopo 3 anni, anche io partii da Nimis per raggiungere mio marito in Australia con nostro figlio. Il piano era di stare tre anni in Australia e poi tornare insieme in Italia. Dissi addio alla mia famiglia. Il mio cuore si apri’ in due parti. Ora dovevo affrontare l’ignoto.
Da Udine, ero diretta a Napoli. Arrivata a Napoli, mi imbarcai sulla nave. Dopo un lunghissimo viaggio, arrivai a Brisbane e cercai sulla banchina il volto di mio marito. Alla fine, lo vidi. Lui non sembrava così selvaggio come si era descritto nelle sue lettere. Forse un po’ più vecchio, sicuramente molto abbronzato e molto più muscoloso. Arrivati nella nostra casa, mio marito si sforzò moltissimo per cercare di farmi ambientare. organizzando un pic nic o lo spettacolo della canna da zucchero data alle fiamme. I farmers, i contadini, bruciavano la canna da zucchero prima della stagione del taglio. Mi piaceva molto questo spettacolo, la vista delle fiamme che si alzavano verso il cielo. Le facce dei canecutters erano solenni sotto i cappelli flosci di feltro, essi avevano con sè un machete a lama larga che usavano nei campi a tagliare la canna ed erano neri dal fumo. La maggior parte dei tagliatori di canna erano italiani. Giorno dopo giorno, gli sporchi, sudati canecutters tagliavano tonnellate di canna. Essi facevano un lavoro che era classificato un lavoro da negri. La vita dei canecutters era breve. Molti morivano per morsi di serpente o per malattie trasmesse dai topi. Bevevano molto e soffrivano molto gli effetti dell’alcolismo. Inoltre, la mancanza di donne li faceva cercare le prostitute, che stavano vicino ai campi di canna da zucchero.
Dissero a mio marito: “c’è una azienda sperimentale fuori dalla città di Mareeba, Ascot Farm, che vorrebbe fare un esperimento” Così, offrirono a mio marito una posizione di share-farmer, di mezzadro, in una farma di Tabacco. Le piantagioni di tabacco ora andavano bene, ora andavano male. Quando venne eletto un governo non favorevole agli agricoltori, in poco tempo, l’industria del tobacco collassò. Me and my husband were left with six tons of un sold leaf. Sei tonnellate di tobacco senza poterlo vendere! So we were prepared to lose the farm. Mio marito era disperato. Obbligato a seguire le leggi alla lettera, dovette dar fuoco alle 6 tonnellate di foglie di tobacco. Farming had been another bitter failure. In queste condizioni, mi resi conto che non avrei mai più visto il Friuli e la mia famiglia. Ci trasferimmo a Pukunja. Un nome aborigeno, significa, “un posto lontano”. Un nome veramente giusto. Lontani da una città, lontani dai nostri cari, ai margini di questo paese e così lontani dal resto del mondo. Nel frattempo, ho imparato l’inglese, a leggerlo e scriverlo molto bene. Per me l’Italia era diventata semplicemente il paese di una volta, the old country…
They were aliens! Aliens! Stranieri. Nel 1940, in Europa, l’Italia entrò in Guerra a fianco della Germania, e quindi contro l’Australia. Mio marito era in Australia da 13 anni, ed io da 10. Per quanto ci riguardava, l’Australia era la nostra patria. Sentivo storie di Italiani in Australia che creavano movimenti fascisti. Questo creò un clima generale di sospetto. L’immaginazione della gente era sfrenata. Volevano che fosse fatto qualcosa. Sbarazziamoci di questi Dagos! Facciamo fuori questi sporchi italiani! Molta gente inventò di sana pianta delle storie sui vicini stranieri, per mandarli via, magari impadronendosi delle loro terre. Mio marito voleva restare fuori dalla politica. Diceva: “non importa quello che succede in Italia. Questa è la nostra terra ora. We should never talk about politics and religion”. Il piano del governo era già avviato per gli italiani. Due campi di internamento erano stati costruiti giù a Loveday. Mio marito era già un uomo segnato e venne arrestato! Lo portarono via col treno Lungo i vagoni del treno la gente gridava: Ammazzate questi bastardi! Ammazzate questi sporchi italiani! Kill the Dagos!
Iniziò la scuola. Ogni pomeriggio, se il fiume era in piena, mia figlia doveva prendere il treno per andare a scuola. E prendere il treno era una battaglia. I bambini gridavano a mia figlia: Non venire a sederti vicino a noi, Dago!! We hate you, Wilma de Conti, non sederti qui! Era nata qui, in Australia. Era un’australiana. Perché la tormentavano così crudelmente? Alla fine mia figlia capì. Era colpa nostra, dei suoi genitori. Io parlavo inglese con un accento che suscitava sguardi indiscreti. Mia figlia voleva prendere le distanze da me, voleva essere trattata come tutti gli altri bambini. Continuavano a chiamarla dago. Formavano un gruppo, la spingevano contro il recinto della scuola e la picchiavano. Mia figlia guardava verso l’ufficio del preside, ma lui faceva finta di non sentire e di non vedere. Non fece mai nulla per farli smettere. Un giorno le dissi: i bambini ti chiamano dago perché ripetono quello che sentono a casa. Everyone calls us dago. Figlia mia, guardami e tieni a mente. Devi capire una cosa. In questo paese saremo sempre chiamati stranieri. Ma tu sei australiana, ricordati questo, sei nata qui! This is your homeland and nothing can change that. As far as we are concerned, mine was an educated family, a highly respected Italian family. My people were professionals. Our ancestors came from distinguished backgrounds. You can tell those girls, that the only real Australian is a black skinned one! Gli unici veri Australiani sono gli Aborigeni. British people were strangers to this country too. Abbiamo pagato il nostro biglietto… per sudare sangue! Le dissi questo una volta per tutte. Trattai mia figlia come un’adulta.
In September 1943, armistice was granted to Italy. L’Italia firmò l’armistizio, after the bombing of Rome and then Mussolini’s capture. Un giorno arrivò un telegramma da mio marito. “Rilasciato oggi, sto arrivando a Nord. Scriverò presto”. Non potevamo credere ai nostri occhi, papà libero! Roberto tornò a casa. Anche se liberato, stava lontano dalla gente. Incontrò dei vecchi compagni in paese e non lo degnarono nemmeno di un saluto. Il fango che avevano gettato su di lui si era incrostato. Mio marito era sempre arrabbiato, anche per motivi stupidi. Io guardai i campi fuori dalla finestra e dissi: “So che non metterò mai più piede su quella terra… nor do I ever wish to do so. There is nothing left for me there now!”
A gennaio, mio marito si lamentò di dolori al cuore. Egli mi disse: non preoccuparti Carolena, non voglio ancora morire. For one thing, I still want to see the old country. Voglio anche rivedere il Monte Bernadia di Nimis. Un giorno non lontano, voglio mostrare la mia terra a mia figlia. Gli attacchi di cuore continuarono. Disse “non riuscirò a portare in Friuli mia figlia. Potessi ancora mettere piede su quella terra ancora una volta prima di morire…!”. Mio marito Roberto De Conti morì a Ottobre del 1958. Provai rabbia per la sua morte. Gli anni dell’internamento hanno avuto parte in questo: lui ha portato la sua rabbia nella tomba.
Vendetti la casa di Mareeba e mi trasferii a Sydney. Ma presto fui colpita da un infarto. Al tramonto della mia vita, entrai in un ricovero.
Domenica pomeriggio, il primo di settembre del 1985, all’età di 83 anni ebbi un tremito come una candela, fino a quando mi spensi. Fui seppellita vicino a mio marito, per stare accanto a lui per sempre sotto un albero di Gelsomino.
Tutti arrivano sulla riva della vita dalla pancia di quest’acqua
Dalle ali dei venti che ci scelgono
Ognuno dall’anima, da una unica anima
Ma poi cresciamo lontani da noi stessi
Vogliamo provare quanto grandi siamo
Ci siamo dimenticati che l’unica religione che dovrebbe valere è l’amore
L’amore che ci sostiene, e l’umiltà
La tua gente non è meglio della mia
Nessun fiore in questo giardino della vita
E’ meglio di un altro
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Loris Vescovo: voce, chitarra
Claudia Grimaz: voce
Ermes Ghirardini: percussioni
Alfredo Pecile: handpainting
E’ dunque assolutamente necessario morire, perché finché siamo vivi manchiamo di senso, e il linguaggio della nostra vita (con cui ci esprimiamo, e a cui dunque attribuiamo la massima importanza) è intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità. La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita: ossia sceglie i suoi momenti veramente significativi (e non più ormai modificabili da altri possibili momenti contrari o incoerenti), e li mette in successione, facendo del nostro presente, infinito, instabile e incerto, e dunque linguisticamente non descrivibile, un passato chiaro, stabile, certo, e dunque linguisticamente ben descrivibile. Solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci
(Pier Paolo Pasolini, Empirismo eretico).
Lo spettacolo Pierpauli ripercorre le tappe essenziali della vita di Pier Paolo Pasolini, un artista scomodo, poliedrico ed eclettico, ricostruendone la biografia attraverso alcune delle forme espressive da lui esplorate. Il percorso dello spettacolo ci porta all’ascolto di brani originali o poesie musicate, di letture e di alcuni frammenti autobiografici; non mancano i canti e villotte di tradizione popolare tanto cari al poeta che, oltre ad essere un acutissimo antropologo e sociologo sempre attento alle mutazioni della società di massa, scrisse anche interessanti pagine di critica musicale. Nella produzione artistica di Pasolini l’elemento paesaggio assume un’importanza fondamentale, dove per paesaggio non si intende solo luogo fisico ma soprattutto metaforico e pittorico. Le inquadrature dei suoi films o perfino i luoghi scelti per rilasciare una semplice intervista venivano selezionati con cura maniacale.
Nello spettacolo, la dimensione paesaggistico-scenografica si materializza dalle mani dello scultore-pittore italo-argentino Alfredo Pecile, che interagisce con lo spazio scenico utilizzando la tecnica dell’ hand painting, producendo un’opera d’arte in tempo reale. Attraverso suoni, testi e melodie, è vicina l’atmosfera di scuotimento e di nostalgia lacerante per qualcosa di meraviglioso e perduto che caratterizza la produzione pasoliniana. Un’atmosfera di purezza da lui sognata, cercata e voluta anche con l’istituzione dell’Academiuta e i primi componimenti in friulano.
Resta tremendo il brivido, seguito dalla sensazione di rabbia e di impotenza per le parole espresse durante i suoi ultimi scritti sull’omologazione attuata da scuola e televisione, sulla corruzione dei politici, parole di una attualita’ sconfortante, che fanno male adesso piu’ che mai.
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